"C’eran
bene di quei lavoratori avventizi del Vercellese, che con moglie e
figliuoli, ammazzandosi a lavorare, non riescono a guadagnare
cinquecento lire l’anno, quando pure trovan lavoro; di quei contadini
del Mantovano che, nei mesi freddi, passano sull’altra
riva del Po a raccogliere tuberose nere, con le quali, bollite
nell’acqua, non si sostentano, ma riescono a non morire durante
l’inverno; e di quei mondatori di riso della bassa Lombardia che per una
lora al giorno sudano ore ed ore, sferzati dal sole, con la febbre
nell’ossa, sull’acqua melmosa che li avvelena, per campare di polenta,
di pan muffito e di lardo rancido. C’erano anche di quei contadini del
Pavese che, per vestirsi e provvedersi strumenti da lavoro, ipotecano le
proprie braccia, e non potendo lavorar tanto da pagare il debito,
rinnovano la locazione in fin d’ogni anno a condizioni più dure,
riducendosi a una schiavitù affamata e senza speranza, da cui non hanno
altra uscita che la fuga o la morte. C’erano molti di quei Calabresi che
vivon d’un pane di lenticchie selvatiche, somigliante a un impasto di
segatura di legna e di mota, e che nelle cattive annate mangiano le
erbacce dei campi, cotte senza sale, o divorano le cime crude delle
sulle, come il bestiame, e di quei bifolchi della Basilicata, che fanno
cinque o sei miglia ogni giorno per recarsi sul luogo del lavoro,
portando gli strumenti sul dorso, e dormono col maiale e con l’asino
sulla nuda terra, in orribili stamberghe senza camino, rischiarate da
pezzi di legno resinoso, non assaggiando un pezzo di carne in tutto
l’anno, se non quando muore per accidente uno dei loro animali. E c’eran
pure molti di quei poveri mangiatori di panrozzo e di acqua-sale delle
Puglie, che con una metà del loro pane e centocinquenta lire l’anno
debbon mantenere la famiglia in città, lontana da loro, e nella campagna
dove si stroncano, dormono sopra sacchi di paglia, entro a nicchie
scavate nei muri d’una cameraccia, in cui stilla la pioggia e soffia il
vento. C’era in fine un buon numero di quei vari milioni di piccoli
proprietari di terre, ridotti da una gravezza di imposta unica al mondo
in una condizione più infelice di quella dei proletari, abitanti in
catapecchie da cui molti di questi rifuggirebbero, e tanto miseri, che
“non potrebbero nemmeno vivere igienicamente, quando vi fossero
obbligati per legge.” Tutti costoro non emigravano per spirito
d’avventura."
Edmondo De Amicis, "Sull'Oceano" (1889).
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